Resistenza al cambiamento
Scritto il: Gennaio 17, 2023
Geschrieben am: Gennaio 17, 2023
Scritto da: Monica Margoni
Autor*in: Monica Margoni

Probabilmente ci sono le persone che resistono al cambiamento e, se ci sono, hanno un motivo per esserlo. Quello su cui occorre investire sono nuove strutture, nuove pratiche e processi perché il cambiamento sia continuo.

La resistenza al cambiamento è un fenomeno che può dipendere da diversi fattori: la sfida di un mondo sempre più complesso e quindi la paura e l’incertezza, il bisogno di sicurezza e stabilità a seguito di diversi processi di change management, una leadership che non coinvolge i collaboratori e si aspetta unicamente prestazioni e risultati, il sentirsi non equipaggiati nel mettere in pratica nuovi modi di comunicare, di collaborare, di prendere decisioni, di gestire le responsabilità e tanto altro ancora. 

Un problema che continuamente emerge nel mondo del lavoro è questo: quando entriamo in relazione per collaborare pensiamo spesso che le persone “sono” in un certo modo. In realtà si “comportano” in un certo modo. E i comportamenti sono in continuo collegamento con i pensieri e le emozioni, oltre ad essere condizionati dal contesto in cui ci si trova. Quindi, se una persona ha sviluppato una resistenza al cambiamento avrà dei bisogni da soddisfare di sicurezza, di stabilità, di certezza. Può essere che abbia vissuto un momento di caos, di poca chiarezza, di inquietudine e che senta l’esigenza di ripristinare questo equilibrio interiore. Oppure, al contrario, fa fatica ad uscire dalla propria zona di confort, le abitudini hanno il sopravvento e il mettersi in gioco provoca stress. Se si raggiungono risultati anche con poca energia, tanto meglio. 

Ciascuno di noi ha dei bisogni da soddisfare: di autonomia, di chiarezza, di creatività, di collaborazione e via dicendo. Le strategie che sviluppiamo per soddisfare i diversi bisogni, però, sono diverse. E quindi la resistenza al cambiamento è una strategia che può soddisfare bisogni molto distinti tra loro. L’esercizio interessante da fare – e questo potrebbe fare parte di una formazione personale o di team – è quello di sviluppare un linguaggio dei bisogni – che poi sono i valori che ci tengono in vita – e di chiederci di tanto in tanto quali sono soddisfatti e quali meno. E così trovare equilibrio e vitalità! 

Il cambiamento di per sé va a braccetto con il non sapere, con una dimensione che non può essere controllata, con una mancanza di una visione d’insieme. Saper stare nella complessità, in situazioni contraddittorie, incerte, poco calcolabili è una competenza che dobbiamo ancora acquisire, non è innata e non è nemmeno facile da sviluppare. 

Cambiare le persone non è impresa da poco, si dice che il cambiamento del mindset che dovrebbe permettere alle persone di aprirsi, o meglio di abbracciare il cambiamento, è una delle sfide più grandi. Da dove iniziare allora? Ci sono diversi binari paralleli: quello del mindset, delle strutture, della visione.    

Costruire una visione è come avere una bussola, un orientamento, sapere dove vogliamo essere in futuro. Ciò permette di agire maggiormente sulla dimensione emotiva, intuitiva, e meno su quella cognitiva. Le organizzazioni che hanno una visione chiara creano maggior senso di appartenenza, motivazione, stimolano la creatività, anche la produttività ne trae beneficio. Questo è un grande antidoto alla resistenza al cambiamento. Dare un senso a ciò che si fa, trovare un senso comune e porlo in primo piano nella prassi quotidiana: ciò risveglia il nostro essere persone e collaboratori allo stesso tempo, ci aiuta a percepire l’effetto, l’impatto di ciò che facciamo.  

E poi ci sono le strutture, le pratiche, i processi, i metodi: il contesto in cui si lavora non è un qualcosa di dato. Sappiamo che ci condiziona molto, soprattutto se è piramidale, autoritario, orientato al controllo. Ma sta crescendo la consapevolezza che ciascuno può cambiare il contesto, ciascuno ha un raggio d’azione nel quale può assumere responsabilità ed essere agente del cambiamento con piccole azioni che possono avere, a breve o lungo termine, un grande effetto. 

Questa consapevolezza cresce nella misura in cui vengono adottate pratiche e metodi che contribuiscono a sviluppare un nuovo modo di comunicare, di prendere decisioni, di organizzare meetings, di co-creare servizi e prodotti

Se poniamo una domanda e facciamo un giro di tavolo aumenterà la probabilità che tutti possano parlare e che ciascuno si sforzi di esprimere il suo pensiero in un insieme di essenze, senza lungaggini. Dare la parola a tutti è possibile, ma ci vuole una struttura che sappia contenere la conversazione e un accompagnamento sul piano del processo e del metodo. 

Implementare pratiche di questo tipo significa modificare un comportamento visibile. Il pensiero cambierà poi col tempo. Creare contesti che invitano a dare il proprio contributo, che danno a ciascuno la possibilità di esprimersi, che assicurano inclusività ed efficacia, accresce fortemente la motivazione delle persone a mettersi in gioco e riduce la resistenza al cambiamento. Certo, occorre ingaggio, apertura, coraggio. I valori dei frameworks agili possono essere vissuti se c’è un contesto che li promuove. 

Spesso, il lavoro sull’organizzazione non è percepito come lavoro. Nella percezione più diffusa il lavoro è prestazione, è riempire il tempo con tanti compiti, è arrivare in modo veloce ai risultati. Un team e un’organizzazione che dedicano tempo allo sviluppo di pratiche, processi, strumenti che permettano inclusività ed efficacia favorisce allo stesso tempo un contesto favorevole nel quale le persone possono apprendere continuamente e possono auto-organizzare il loro modo di lavorare insieme. 

Anche questo contribuisce a ridurre la resistenza al cambiamento. Quando le persone possono essere co-autrici di prodotti e servizi e nello stesso tempo di regole e principi del lavoro in team sarà più facile avere ingaggio. La partecipazione e la co-decisione accrescono di molto la volontà delle persone di impegnarsi, di assumersi responsabilità. Perché possono incidere, avere un impatto!

Un aspetto molto importante riguarda le decisioni. Prendere decisioni in modo inclusivo, integrando obiezioni e punti di vista che portano informazioni alla proposta iniziale, significa imparare insieme la pratica del convergere. Nel pensiero divergente, quando si apre l’orizzonte delle idee, siamo tutti bravi. Ma è nel convergere che si presentano i problemi. Ci sono strumenti preziosi da scoprire, da praticare, che integrano posizioni apparentemente molto contrastanti tra loro. Quando lo spazio e il contesto sono rispettosi, collaborativi, propositivi, aperti alle idee più bizzarre e innovative, si abbassa ulteriormente la possibilità di resistere al cambiamento. Ciascuno di noi vuole essere protagonista, le strutture per permettere ai collaboratori di esserlo ci sono, occorre solo scoprirle, praticarle, adattarle e implementarle. 

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