Orientamento, principi, strutture, non solo un insieme di metodi
Il Manifesto Agile compie 20 anni
Quando si parla di “agile” vengono subito in mente lo sviluppo agile del software e molti dei metodi che facilitatori, coach, e tanti diversi tipi di professionisti adottano nelle organizzazioni di ogni tipo. In effetti, di strumenti ce ne sono diversi, spesso però si assiste ad una riduzione del concetto agile alla sola cassetta degli attrezzi. In più, ci sono aziende che pensano di diventare agili dalla sera alla mattina, buttando a mare quanto è stato costruito, sostituendo un nuovo sistema, pensato a tavolino.
Di certo, l’organizzazione agile si presta al contesto attuale, sempre più complesso e incerto. Le modalità di lavoro sono cambiate, è richiesta flessibilità, capacità di reagire al cambiamento, di sperimentare, di prendere decisioni, privilegiando l’autonomia delle persone e dei team, non il controllo ad ogni costo.
I firmatari del Manifesto Agile (che nel 2021 compie 20 anni!) hanno pensato ad un cambiamento che mette al centro le persone, le relazioni, la collaborazione, il cliente, la capacità di adattarsi, di ipotizzare, sperimentare, implementare. Lo si legge bene nei quattro punti: “gli individui e le interazioni più che i processi e gli strumenti; il software funzionante più che la documentazione esaustiva; la collaborazione col cliente più che la negoziazione dei contratti; rispondere al cambiamento più che seguire un piano”. E i principi sottostanti rafforzano questo orientamento: come soddisfare il cliente, lavorare per iterazioni e per periodi brevi, lavorare insieme in team, costruire un ambiente di lavoro che favorisce la co-creazione, la comunicazione interpersonale, la qualità del prodotto, la riflessione e il continuo miglioramento, l’auto-organizzazione dei team.
E’ denso questo manifesto, così come i principi che lo reggono. Infatti parliamo di principi, non solo di una valigia di attrezzi. Quando parliamo di “organizzazione agile” l’orizzonte si amplia, si vanno a toccare diversi livelli, a partire dallo scopo ultimo (Purpose), passando dall’autorità distribuita, l’apprendimento evolutivo, per arrivare all’autonomia nella collaborazione e alla trasparenza. Sono aspetti che richiedono di farsi domande di un certo peso, come per esempio “Che cambiamento voglio portare nel sistema in cui mi trovo e/o nel mondo, che tipo di impatto voglio avere, in che senso contribuisco a migliorare la vita dei beneficiari, dei collaboratori e di tutti gli stakeholder?”.
Solitamente il fondatore o la fondatrice di un’azienda è anche colui o colei che incarna un po’ lo scopo ultimo, ma non può rimanere insediato in una stanza. Occorre che tutti si possano cimentare con questa domanda – e il processo che si intraprende per arrivarci è un’esperienza non meno interessante dello scopo stesso. Un processo che, se apre lo spazio alla co-creazione, arriverà anche a comporre un quadro dentro il quale in molti si ritroveranno, perché vi hanno contribuito, come parti del sistema.
Ecco che, aprire uno spazio co-creativo, è l’azione che segue il principio della collaborazione. L’organizzazione agile crede nel potenziale creativo delle persone e dei team, per questo crea mindset, skillset e toolset che lo sprigioni. La qualità e la sostenibilità dei prodotti e delle soluzioni che si vanno a creare dipende infatti in gran parte dalla qualità dei processi che ne stanno alla base.
Il processo è di fondamentale importanza, quindi, e l’approccio agile è molto focalizzato su questo aspetto. Agilità significa capacità di adattarsi alle situazioni, solitamente all’interno di un quadro complesso, di stare dentro l’ambiguità, sapendo che non c’è un giusto o sbagliato in senso assoluto. Si costruiscono e si testano ipotesi, si lavora per MVP (Minimum Viable Product), un prodotto minimo funzionante, cioè la versione di un prodotto con caratteristiche appena sufficienti per essere utilizzabile dai primi clienti, i quali possono quindi fornire feedback per lo sviluppo futuro del prodotto stesso.
Molto spazio è riservato anche alla riflessione, al chiedersi “Cosa abbiamo appreso, cosa possiamo migliorare?”. In molti dei sistemi nei quali ci troviamo solitamente ad agire si produce, ci si concentra sul cosa, si guarda in avanti, ma non ci si ferma, non si dialoga, non si riflette. E’ un tempo che viene percepito come risorsa sprecata, come non lavoro, come un non far nulla. E qui si potrebbe dedicare ampio spazio agli assunti che reggono le nostre azioni, l’agire delle organizzazioni e dei sistemi.
Altro aspetto dell’approccio agile è l’autonomia delle persone e dei team, i modelli orientati all’auto-organizzazione. Gli approcci come Holacracy e Sociocracy rappresentano un cambio di paradigma, rappresentano infatti dei modelli basati sui cerchi, nei quali ci sono persone che nel loro profilo assumono diversi ruoli. Un elemento importante di questi modelli è che ogni tipo di criticità o tensione viene considerata in modo positivo. Dietro ogni tensione c’è infatti un bisogno, un’idea, un’innovazione. Infatti, in questo tipo di modelli, si processano le tensioni, ci sono meccanismi che vengono adottati per trasformare le tensioni in una risorsa per tutto il team o per tutto il sistema. Si tratta di modelli fortemente orientati all’equivalenza e inclusività delle persone e allo stesso tempo all’efficacia e alla chiarezza.
Più che di approccio, si parla di trasformazione agile. E per trasformazione si intende un processo in continua evoluzione che va a toccare tutti gli aspetti dell’organizzazione. L’agilità, quindi, non è una sola cassetta degli attrezzi, è un cambio di paradigma che aiuta l’organizzazione a trasformarsi, ad evolversi in modo adattivo, inclusivo, sostenibile.